To the bone: il coraggio di lottare contro l’anoressia

Per sensibilizzare e informare le persone in merito ad una problematica sempre più diffusa tra i giovani, come i disturbi del comportamento alimentare (DCA), parliamo di “To the bone” (in Italia “Fino all’osso”) è un film distribuito da Netflix nel 2017, scritto e diretto da Marti Noxton.

Sono circa 3 milioni i casi di disturbo del comportamento alimentare in Italia, di cui il 95,9 % sono donne secondo le stime ufficiali.
L’incidenza dell’anoressia nervosa è di almeno 8 nuovi casi per 100mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi. Invece, per quanto riguarda la bulimia ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini (Fonte: Ministero della Salute). Le persone più colpite sono gli adolescenti, anche se l’età media di esordio del disturbo si è abbassata a 8-9 anni.
Nonostante i dati allarmanti, i disturbi alimentari sono ancora un fenomeno sottovalutato: basti pensare alla scarsa presenza di strutture dedicate in Italia (La mappa delle strutture dedicate ai DCA in Italia) specialmente per i casi più gravi, ove è necessario il ricovero ospedaliero. I DCA colpiscono non soltanto a livello organico, ma provocano una profonda sofferenza psichica e spesso si associano ad altre patologie psichiatriche.
I disturbi alimentari rappresentano ancora un argomento tabù ai giorni nostri e poco trattato al cinema.

Anche per questo motivo, uno dei film più recenti sul tema, come “To the bone”, è finito al centro delle polemiche ancor prima della sua uscita.
La protagonista (interpretata da Lily Collins, figlia del noto cantante Phil Collins) si chiama Ellen, ha 20 anni e soffre di anoressia nervosa. I suoi genitori si sono separati quando lei aveva 13 anni, a seguito del coming out della madre che ora vive con la sua nuova compagna. Il padre di Ellen non appare per tutta la durata del film; sarà la compagna, Susan, a farsi carico del percorso di cura della ragazza.

Nonostante la giovane età, Ellen ha già alle spalle un passato di ricoveri e ricadute: dagli altri centri di recupero è stata espulsa perché “provocatoria” e considerata una “cattiva influenza per le altre ragazze ricoverate”. L’opposizione alla cura purtroppo è uno degli aspetti più critici e ostacolanti all’approccio terapeutico. Le persone con un disturbo alimentare spesse volte negano di avere un problema o semplicemente non ne sono consapevoli: in primo luogo, hanno una percezione distorta della propria immagine corporea e non “vedono” l’eccessivo dimagrimento; in secondo luogo, la perdita di peso viene percepita come una conquista e non come un pericolo per la salute. Negare l’evidenza ostacola la richiesta di aiuto da parte delle persone che soffrono di DCA, le quali sono inviate agli specialisti principalmente dai familiari.


Ellen viene descritta dai familiari come una ragazza oppositiva e ribelle. In realtà il suo atteggiamento deriva proprio dalla patologia conclamata, mentre nella narrazione dei familiari l’opposizione viene confusa con un tratto caratteriale. Come ogni persona anoressica, Ellen non fa altro che ripetere: “ma io mangio”, “ho tutto sotto controllo”, “non è colpa mia se il mio stomaco si riempie velocemente”, “io non mi sento malata”…
Il primo passo che uno specialista deve compiere per “agganciare” una persona con DCA è rompere questo muro e lavorare sulla motivazione ad intraprendere un percorso terapeutico, mediante una relazione fondata su fiducia, ascolto e accettazione incondizionata. Da quanto emerge, invece, dalle prime battute del film, sembra che inizialmente prevalga un approccio giudicante e colpevolizzante nei confronti della ragazza.
Le persone anoressiche hanno una forte resistenza al cambiamento, per questo usare un approccio troppo “direttivo” provoca soltanto un effetto contrario: l’accanimento dei familiari che tentano in tutti i modi di far mangiare (mediante “preghiere o minacce”) finisce per esacerbare la reazione di rifiuto del cibo (e della relazione) da parte dell’anoressica (Lasegue: “L’insistenza della domanda genera sempre resistenza”); per tale motivo è opportuno rivolgersi ad uno specialista prima che la chiusura di queste pazienti diventi definitiva.

La prima svolta nel film avviene quando la matrigna accompagna Ellen dal dottor Beckham (interpretato da Keanu Reeves) rinomato per i suoi metodi terapeutici “non convenzionali”. Gran parte del film è ambientato nella comunità terapeutica di Los Angeles, “Threshold”, diretta dal dottor Beckham e dove Ellen convive con altri pazienti DCA.

Il merito di questo film è aver trattato il tema dell’anoressia senza trascurare nulla e, forse, in maniera fin troppo realistica e “cruda”. A suo tempo, “To the bone” suscitò molte polemiche con accuse di “banalizzazione” o “spettacolarizzazione” dell’anoressia; in particolare, la preoccupazione di medici e psichiatri  riguardava un eventuale rischio di emulazione dei comportamenti messi in atto nel film: infatti i personaggi discutono apertamente delle “tecniche” per perdere peso e sfuggire al controllo dei medici. 

In verità, anche se appaiono certi dettagli nel film (inevitabili se si vuole parlare di disturbi alimentari a 360° e con una certa aderenza alla realtà) sono chiare fin dal principio le conseguenze disastrose di tali disturbi, sia dal punto di vista fisico sia psicologico. Da una visione più approfondita e critica emerge che il film non “incoraggia” affatto l’emulazione ma, al contrario, mette in guardia e accende i riflettori su quelli che sono i segnali e i sintomi di un disturbo: l’ossessione per il corpo; la classificazione dei cibi in “buoni” e “cattivi”, che si accompagna alla rigida restrizione alimentare; il conteggio minuzioso delle calorie ingerite e poi bruciate con la ginnastica compulsiva; il ricorso a manovre per il controllo del peso, come il vomito autoindotto, l’allenamento intensivo e l’uso improprio di lassativi. Né la protagonista Ellen né le altre pazienti affette da DCA all’interno del film appaiono mai come persone “vincenti” o come modelli da imitare; al contrario, in primo piano vi sono i sintomi e la sofferenza dei personaggi, che man mano lasciano spazio alla consapevolezza e al coraggio di lottare contro il mostro dell’anoressia.


La stessa attrice protagonista Lily Collins ha sofferto di disturbi alimentari e ne parla in un capitolo della sua autobiografia, intitolata “Senza filtri”. In un’intervista pubblicata su Vanity Fair, la Collins dichiara:

“Mi piacerebbe che le persone capissero che l’anoressia è un disturbo che non ha nulla a che vedere con la vanità”.

Tale affermazione dovrebbe bastare a mettere al riparo il film “To the bone” da ogni accusa di rendere l’anoressia un comportamento “glamour”.

La trama del film si concentra in particolare su tre punti fondamentali per comprendere i DCA:

  • le manifestazioni cliniche dell’anoressia,
  • il contesto familiare
  • l’approccio terapeutico.

Riconoscere i segnali di un disturbo alimentare


I criteri diagnostici dell’anoressia nervosa secondo il DSM-5 si possono riassumere nei seguenti punti:
  • Restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Il peso corporeo significativamente basso è definito come un peso inferiore al minimo normale oppure, per bambini e adolescenti, meno di quello minimo atteso.
  • Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso.
  • Alterazione del modo in cui viene vissuto dall’ individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.


Nella clinica si distinguono due tipologie di anoressia:
1) Tipo restrittivo, in cui tra le manovre di controllo del peso corporeo prevalgono il digiuno e l’attività fisica eccessiva, senza episodi di abbuffate o altre condotte di eliminazione;
2) Tipo con abbuffate, in cui si osservano ricorrenti episodi di abbuffate con condotte di eliminazione (come l’uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).

Nel caso di Ellen, ci troviamo di fronte ad un’anoressia restrittiva, in quanto lei mastica il cibo ma non lo ingerisce, si impone digiuno ed esercizio fisico estenuante; presente l’ossessione per le calorie e la magrezza estrema. Noxton sceglie di presentarci l’anoressia già al suo stadio più critico, infatti Ellen è in condizioni gravissime, ad un passo dal sondino. Tale scelta serve a rendere lo scenario ancora più scioccante e a scoraggiare lo spettatore dall’intraprendere certe condotte deleterie.


L’impatto dei disturbi alimentari sui familiari


Per quanto riguarda il contesto familiare delle pazienti anoressiche, è stato oggetto di osservazione e di approfondimento in particolare nell’ambito della terapia familiare e dell’approccio sistemico-relazionale.
Minuchin ha individuato cinque modalità collegate alla comparsa e al mantenimento del sintomo anoressico:

  • invischiamento, ovvero assenza di confini personali tra i membri della famiglia;
  • iperprotezione, con eccessiva preoccupazione che frena l’apertura alle esperienze, preludio per la conquista di autonomia e realizzazione personale;
  • evitamento del conflitto, che invece trova la sua espressione privilegiata attraverso la via del sintomo;
  • rigidità, ovvero educazione ferrea e clima familiare oppressivo, che non lascia spazio ad una sana ribellione e opposizione adolescenziale;
  • coinvolgimento del bambino che presenta il sintomo nella deviazione del conflitto.
L’importanza del sostegno della famiglia

Nella presa in carico dei pazienti con DCA talvolta è inevitabile coinvolgere la famiglia, se non altro per conoscere e osservare le dinamiche relazionali in cui il sintomo si sviluppa e prende forza. D’altro canto, i familiari rappresentano, in caso di DCA e dipendenze patologiche, i principali “invianti”, dunque sono le prime persone ad incontrare gli specialisti per l’anamnesi. Nella migliore delle ipotesi i familiari sono i primi alleati per la cura dei disturbi alimentari in adolescenza e possono avere un ruolo fondamentale nel processo di guarigione.

Purtroppo tale circostanza ottimistica non si realizza nel film, infatti nella prima (e unica) seduta familiare in “To the bone”, si assiste ad un vero e proprio “processo”, in cui la madre naturale e la matrigna di Ellen si incolpano a vicenda. L’unica persona che riesce ad intervenire senza giudicare è la sorellastra, Kelly, la quale esprime con sincerità quali sono gli effetti dell’anoressia di Ellen su di lei:

“Sta sprecando non solo la sua vita, ma anche la mia, perché non ho la possibilità di vivere con una sorella”.

To The Bone

Kelly era figlia unica ed è molto affezionata ad Ellen, ma la sua anoressia ostacola il loro rapporto, perché la costringe a lunghi periodi di ricovero. Kelly vorrebbe condividere la sua giovinezza fatta di spensieratezza, confidenze e divertimento con Ellen. Il desiderio di Kelly di costruire una buona relazione con Ellen, in un contesto di realtà, avrebbe rappresentato un ottimo “aggancio” per condurre la paziente verso quella “vitalità” che consente il percorso di guarigione.

PER CONCLUDERE

Per comprendere a pieno i meccanismi e le dinamiche dell’anoressia, dobbiamo per un attimo dimenticarci dell’etimologia della parola anoressia: mancanza di appetito. I sintomi alimentari sono soltanto la punta dell’iceberg, rappresentano la soglia visibile di un malessere interiore dalle origini profonde e inconsce anche per chi ne soffre. Soltanto con l’aiuto di un esperto è possibile risalire al significato nascosto, originario, dei sintomi alimentari per combatterli e riabbracciare la vita.

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