Essere “ancora Alice” dopo la diagnosi di demenza: approfondimento in occasione della giornata mondiale del morbo di Alzheimer
Il 21 settembre è la giornata mondiale del morbo di Alzheimer, una malattia neurodegenerativa che ad oggi rappresenta la forma di demenza senile più diffusa al mondo.
Soltanto in Italia, circa 600 mila persone ne soffrono ed a causa del progressivo invecchiamento della popolazione mondiale, si stima che i casi di Alzheimer saranno triplicati nel 2050.
La giornata mondiale dell’Alzheimer è stata istituita nel 1994 dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Salute) e dall’ADI (Alzheimer Disease International) allo scopo di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica in merito ad una delle malattie più invalidanti e drammatiche dei nostri tempi.
Le caratteristiche dell’Alzheimer e il vissuto di chi ne soffre nel film “Still Alice”
L’età di insorgenza della malattia è prevalentemente dai 65 anni in poi. Tuttavia esiste anche una forma di Alzheimer cosiddetta “presenile” o “a esordio precoce”, in quanto si manifesta già intorno ai 50 anni d’età, ma è molto rara ed è legata per lo più a variabili genetiche.
Questo è appunto il caso della protagonista del film struggente “Still Alice”, interpretata egregiamente dall’attrice Julianne Moore, che ha vinto il meritato Oscar come Miglior Attrice Protagonista, nel 2014.
La regia è di Richard Glatzer, mentre la storia è ispirata al romanzo di Lisa Genova, pubblicato nel 2004, dal titolo evocativo “Perdersi”.
Potremmo dire, infatti, che la “perdita” rappresenti il nucleo principale della malattia di Alzheimer, entro cui ruotano tutti i sintomi ad essa associati.
Ci riferiamo in particolare alla progressiva perdita di riferimenti di vitale importanza da parte del malato:
- perdere gradualmente la propria autonomia e, di conseguenza, cambiare radicalmente la propria vita e le proprie abitudini;
- rinunciare al proprio lavoro o ai propri hobby;
- non sapere più che ora è, non riuscire a distinguere il giorno dalla notte;
- non ricordare dove aver messo qualcosa e frustrarsi a causa di un’estenuante ricerca;
- la comunicazione diviene man mano sempre più difficile, compromessa dalle carenze nel linguaggio, nella capacità di sostenere l’attenzione a lungo e nella memoria semantica: le parole (proprie e altrui) sfuggono continuamente al malato di Alzheimer, che mostra severe difficoltà nel seguire una conversazione senza affaticarsi per decifrarne il significato;
- non riconoscere i propri cari o la propria casa, il che equivale, in altre parole, a perdere i riferimenti dei propri spazi vitali, e ci si sente continuamente estranei all’ambiente familiare, perché ormai familiare non lo è più;
La conseguenza più estrema della “carenza” di ricordi è sentire di non avere più nulla in comune con i familiari o con chi fino a quel momento aveva condiviso affetti e interessi e ciò può generare isolamento ed emarginazione sociale.
Come abbiamo visto dalla storia di Alice, il morbo di Alzheimer comporta deficit cognitivi rilevanti che colpiscono diverse aree, in particolare la memoria, il linguaggio, l’orientamento spazio-temporale ed infine la coordinazione motoria.
Dal punto di vista psicologico possono manifestarsi ansia e preoccupazione, dovute in primo luogo allo shock iniziale per la diagnosi ed in secondo luogo agli stravolgimenti che essa comporta nella vita quotidiana. Altri sintomi di natura psicologica possono riguardare depressione, disturbi del sonno, scoppi d’ira improvvisi e tendenza all’isolamento sociale.
Come riconoscere e diagnosticare la malattia di Alzheimer
La malattia di Alzheimer può essere individuata dal medico mediante un’anamnesi approfondita, ovvero un colloquio concernente la storia completa medica e psichiatrica della persona; esami di laboratorio per escludere anemia, carenze di vitamine e altre patologie organiche; un esame neuropsicologico, con la somministrazione di test in grado di valutare memoria e funzioni cognitive.
La risonanza magnetica mette in evidenza i segni di atrofia cerebrale caratterizzati da un graduale allargamento dei solchi della corteccia e riduzione di spessore delle circonvoluzioni.
Il principale responsabile dell’evoluzione della malattia di Alzheimer è la proteina beta amiloide che si aggrega e si accumula nelle aree del cervello dedicate alla memoria e alle altre funzioni cognitive compromesse. Gli accumuli di beta amiloide ostruiscono le sinapsi e alterano la comunicazione tra le cellule cerebrali, causando il deterioramento cognitivo.
Talvolta risulta difficile giungere ad una diagnosi tempestiva perché in una fase iniziale della malattia, le evidenze presenti in tali reperti potrebbero essere confuse con il normale e fisiologico deterioramento cerebrale delle persone anziane.
Inoltre, i sintomi più gravi e caratterizzanti la malattia di Alzheimer subentrano più tardi rispetto all’esordio vero e proprio e le sue prime manifestazioni possono essere scambiate con altre tipologie di malesseri: affaticamento da stress, depressione, sintomi dovuti alla menopausa in caso di donne.
Le ipotesi di trattamento dell’Alzheimer e il focus sulla persona
Allo stato attuale purtroppo non esiste un trattamento causale, ovvero in grado di rimuovere le cause della malattia di Alzheimer, tuttavia sono disponibili farmaci sintomatici, cioè in grado di attenuare le manifestazioni cliniche della malattia.
Altra tipologia di trattamento che consente di rallentare il deterioramento cerebrale dovuto alla malattia di Alzheimer consiste in interventi di stimolazione cognitiva, ovvero un trattamento volto al benessere complessivo della persona, finalizzato a riattivare le competenze residue e rallentare la perdita funzionale.
Qualunque sia il trattamento scelto per gestire le tragiche conseguenze della malattia di Alzheimer, è essenziale non perdere mai di vista le caratteristiche soggettive del malato, la sua storia, la sua personalità e i suoi vissuti emotivi.
Avere l’Alzheimer non significa non essere più in grado di pensare; non significa non poter parlare con altre persone; non significa non essere meritevoli di ascolto; non significa non avere più facoltà di prendere decisioni che riguardano il malato in prima persona; non significa non poter più socializzare; in altre parole, non significa non avere più nulla da dire o da dare alla vita.
Parafrasando il titolo del film menzionato in quest’articolo, Alice è “ancora Alice”, non è soltanto la sua malattia. Non si riduce tutto ad un insieme di sintomi gravi, invalidanti e difficili da gestire.
L’importanza delle emozioni come risorsa per salvaguardare la qualità della vita
Un grande alleato della memoria sono le emozioni: infatti, i ricordi che custodiamo maggiormente sono quelli che riguardano eventi con una forte connotazione emotiva e questo vale anche per le persone affette dalla malattia di Alzheimer.
Le emozioni diventano dei punti di riferimento essenziali che aiutano a tracciare un percorso verso la memoria residua della persona cara; inoltre, le emozioni rappresentano il canale comunicativo più efficace, un “ponte” per agevolare la comunicazione e la comprensione della persona con demenza senile.
Anche se chi è affetto da Alzheimer spesso non è in grado di ricordare i singoli eventi (passati o recenti) le emozioni e i sentimenti ad essi associati permangono a lungo e influenzano la qualità della vita delle persone.
Parte integrante della terapia e della “cura” di persone con una diagnosi di Alzheimer dovrebbe essere offrire loro esperienze emotive positive per preservare il benessere psicologico e migliorare la qualità della vita personale e familiare.
Il deterioramento cognitivo a lungo andare intacca la coscienza di sé: le persone affette da malattia di Alzheimer si dimenticano chi sono, ma noi non ci dimentichiamo di loro.
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