Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere. Istituita dall’ONU nel 1999, l’iniziativa ha lo scopo di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alle diverse forme di violenza di genere. Infatti, la Giornata contro la violenza sulle donne è un’iniziativa tesa non soltanto a celebrare il ricordo delle vittime, ma soprattutto vuole ricordare al mondo intero che qualsiasi tipo di abuso rappresenta innanzitutto una violazione dei diritti umani e in quanto tale deve essere contrastata.
Cosa si intende per “violenza di genere”?
Nell’informativa OMS la violenza di genere è definita come:
“qualsiasi atto di violenza fondata sul genere che comporti, o abbia probabilità di comportare, sofferenze o danni fisici, sessuali o mentali per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia che si verifichi nella sfera pubblica che in quella privata”.
In quanto “fondata sul genere” è possibile racchiudere sotto la stessa etichetta anche la violenza perpetrata ai danni di persone appartenenti alla comunità LGBT, vittime di discriminazione e di omotransfobia.
La violenza di genere non è soltanto fisica, ma si manifesta in svariate forme, di cui l’aggressione vera è propria non è altro che la punta dell’iceberg. Un partner violento è in primis un abile manipolatore, che esercita il proprio potere sulla vittima per renderla succube.
Il ciclo della violenza di genere comincia quasi sempre nelle forme più subdole, come nel caso della violenza psicologica:
- denigrazioni volte a svalutare la persona e farla sentire inadeguata rispetto alle aspettative del partner (la vittima sperimenta bassa autostima e al contempo idealizza il partner);
- gelosia eccessiva che si accompagna ad una mancanza di fiducia (la vittima viene continuamente “messa alla prova”);
- bisogno di possesso che si manifesta con pretese di “controllo” da parte dell’aggressore, fino all’esplicita violazione della privacy;
- strategie per isolare la vittima dai propri amici e familiari, in modo tale da nascondere agli altri i maltrattamenti e scongiurare il rischio di denuncia;
- forti limitazioni economiche che hanno lo scopo di rendere la donna ancora “dipendente” dal partner.
La colpevolizzazione della vittima
Un altro aspetto della violenza psicologica da non sottovalutare è l’atteggiamento colpevolizzante nei confronti della vittima: il partner violento accusa costantemente la vittima di essere la causa dei loro problemi di coppia. Indurre la vittima a sentirsi in colpa è una trappola pericolosa che purtroppo spesso inchioda la vittima al suo destino.
I sensi di colpa sedimentano sempre di più nella coscienza della donna, fino a convincersi che sia inutile chiedere aiuto, perché:
- è colpa mia se mi trovo in questa situazione
- me lo merito
- se cambio io, cambierà anche lui
Il passaggio dalla violenza psicologica a quella fisica si verifica quasi nella totalità dei casi, per questo è importante riconoscere la violenza di genere a partire dai primi atteggiamenti di prevaricazione. Dopodiché il prossimo passo è convincersi che:
- un partner violento non può cambiare, a meno che non sia lui a chiedere aiuto per primo per imparare a gestire rabbia e frustrazione;
- un episodio di violenza (come uno schiaffo) non è mai un “caso isolato”, per cui non va mai giustificato.
I dati attuali sulla violenza di genere
Al giorno d’oggi possiamo avere solo una stima del numero di vittime di abuso, perché purtroppo in molti casi le violenze non vengono denunciate per diverse ragioni: per timore di ripercussioni, per vergogna, per sensi di colpa e per il timore di non essere credute ma giudicate.
La violenza di genere non è soltanto quella perpetrata dal partner, ma essa comprende anche i pregiudizi, gli stereotipi e l’isolamento che le donne subiscono. Non sempre i contesti sociali accolgono e proteggono le donne vittime di violenza. Spesso vi è il pericolo di una “vittimizzazione secondaria” della donna, ovvero un meccanismo di colpevolizzazione della vittima, perché “non ha denunciato”, “non ha lasciato il compagno”, “è debole” etc.
Nella maggioranza dei casi si tratta di una violenza che si manifesta fra le mura domestiche (da parte di mariti, compagni, conviventi). Inoltre, anche le molestie nei contesti di lavoro risultano sempre più frequenti.
Nel 2019, il Report della Polizia di Stato “Questo non è amore”, ha conteggiato 88 vittime al giorno, ovvero una donna ogni 15 minuti. Le vittime sono perlopiù italiane (circa 80% dei casi) così come i colpevoli (74%).
Quest’anno, a causa dell’emergenza Covid-19 e del conseguente lockdown, si è registrato un aumento consistente di episodi di violenza domestica. Le chiamate al 1522 (il numero nazionale per le vittime di violenza domestica) sono incrementate del 73% durante il primo lockdown, rispetto allo stesso periodo del 2019 (Fonte: ISTAT).
Tuttavia gli accessi al pronto soccorso da parte delle vittime di violenza sono diminuite del 36,4% rispetto all’anno scorso. Questi dati stanno ad indicare una maggiore difficoltà da parte delle donne vittime di violenza di cercare aiuto e ricevere cure adeguate, a causa del controllo e della convivenza forzata degli aggressori.
“Paura d’amare”: un film sulle conseguenze della violenza nella coppia
Esistono diversi film, italiani e stranieri, che trattano il tema della violenza contro le donne in tutte le sue forme: fisica, sessuale, psicologica. In questo caso è stato scelto “Paura d’amare” (1991, diretto da Garry Marshall) per la sua capacità di favorire l’empatia nei confronti della protagonista.
Frankie (interpretata da Michelle Pfeiffer) è una donna single che vive da sola in periferia. Lavora come cameriera in un ristorante e le uniche persone che frequenta sono i suoi vicini di casa omosessuali e le colleghe. Fin dal principio si assiste all’immagine di una donna apparentemente orgogliosa e sicura di sé, ma si evince facilmente la realtà del suo stato d’animo interno: in particolare, in seguito alla visita ai suoi familiari, Frankie si rende conto di non aver soddisfatto le aspettative della madre (sposarsi e creare una famiglia in età adulta).
Il destino della protagonista cambierà con l’entrata in scena di Johnny (interpretato da Al Pacino): un uomo separato con figli, che ha appena finito di scontare la sua pena per frode. Nonostante i precedenti penali Johnny appare come una persona mite, consapevole dei propri errori e pronta a redimersi; infatti, in primis cercherà un lavoro per provare a rimettersi in sesto. Così è assunto come cuoco nel ristorante in cui lavora Frankie. Al primo incontro sembra già scattare la scintilla tra i due, eppure Frankie è molto cauta e diffidente. La protagonista impiegherà molto tempo prima di trovare la forza di svelare a Johnny il suo passato burrascoso, fatto di tradimenti e violenze subite dai suoi ex.
Come gli abusi influenzano le relazioni future
Le prime relazioni sentimentali hanno una forte influenza sui rapporti successivi. Nel caso di Frankie si osserva una grande chiusura nei confronti del genere maschile, infatti conduce perlopiù una vita solitaria e riservata. L’incontro con Johnny rappresenta un evento importante che rompe la sua routine sociale.
Il sentimento di attrazione verso una nuova conoscenza rappresenta un campanello d’allarme per la donna che ha subito violenza e scatena un conflitto tra il desiderio di stare insieme e, appunto, la paura di amare. Le donne che hanno subito violenza portano dentro di sé profonde ferite che nella vita di tutti i giorni si traducono in:
- diffidenza verso gli uomini;
- sentimenti di inadeguatezza;
- vergogna e sensi di colpa;
- credenze rispetto alla propria “pochezza” inducono la donna abusata a pensare di non valere nulla, di non essere “degna” di amore.
Chi nella sua vita non ha sperimentato il vero amore ma soltanto “amore malato”, non ha idea di come esso si manifesti. Ciò comporta una distorsione della realtà e una lunga serie di fraintendimenti, come accade nel film. In “Paura d’amare” vediamo che Frankie interpreta le manifestazioni di affetto da parte di Johnny in senso negativo, come: invadenza, sentirsi soffocati, giudizio etc. La ragione è che queste sono le uniche categorie che conosce per “leggere” i rapporti umani.
Quando non c’è una vera e propria chiusura nei confronti dell’amore, le donne che subiscono abusi e violenze tendono a “replicare” i propri pattern comportamentali (perdonare tradimenti e accettare qualsiasi tipologia di restrizione etc.) e si ritrovano a sperimentare gli stessi soprusi anche nelle relazioni successive.
Soltanto la presa di coscienza rispetto ai meccanismi che sono alla base della violenza può aiutare la donna abusata ad uscire da questo vortice autodistruttivo.
Il primo passo per fermare la violenza di genere è riconoscerla, per poter chiedere aiuto il prima possibile ed evitare di entrare in un vortice da cui sarà sempre più difficile uscire.